A cura di LegalNext
Un complesso caso di responsabilità sanitaria: la Cassazione mette i paletti su un aspetto nuovo e su altri di particolare rilevanza (Cass. n. 5475/2023).
Un caso di infezione a seguito dell’intervento chirurgico di osteosintesi eseguito da un medico operante presso una casa di cura.
Con la sentenza indicata, la Suprema Corte affronta varie questioni, di seguito sintetizzate:
– se non è proposta alcuna azione di regresso, né da parte del medico, né dalla casa di cura, il giudice non ha alcun dovere (né potere) di pronunciarsi sulla graduazione delle colpe tra struttura ospitante e medico;
– il vincolo di solidarietà tra i soggetti (nel caso medico e casa di cura) che hanno concorso nella condotta illecita consente al danneggiato di pretendere per intero il risarcimento da entrambi i coobbligati;
– la graduazione della colpa, che incide sul quantum dovuto da ciascuno dei responsabili, rileva solo al fine della ripartizione interna tra di loro e dev’essere azionata in via di regresso, da chi vuol farla valere;
– per la valutazione del danno biologico permanente, sono pienamente applicabili le tabelle milanesi per la valutazione del danno biologico;
– in tema di prescrizione dei diritti dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore della sua responsabilità professionale, l’inizio del decorso del termine può essere fatto decorrere dalla richiesta risarcitoria indirizzata e pervenuta al medico presso la struttura.
Su quest’ultimo punto, la novità del caso sta nell’aver stabilito che questo è il luogo idoneo a “consentirgli la ricezione dell’atto e la possibilità di conoscenza del relativo contenuto” e che la presenza di un potenziale conflitto di interessi con la struttura, in relazione ad un eventuale concorso di colpa, ove non sia già concretamente emerso tra le parti prima della ricezione della pretesa risarcitoria, non ne inficia la piena validità.
A nulla dunque è valsa la tesi del medico che assumeva che la richiesta risarcitoria (costituente il momento da cui parte il computo del termine di prescrizione del diritto alla garanzia), indirizzatagli dal danneggiato presso la casa di cura ove esercitava la propria attività lavorativa, non poteva ritenersi da lui conosciuta “atteso” – e qui sta l’originalità e novità della questione – “l’evidente conflitto di interessi esistente” tra il medico e la medesima casa di cura “in relazione alla rivendicazione risarcitoria” del danneggiato.
A questo punto, come diceva quello, la domanda sorge spontanea: a quali conclusioni si sarebbe giunti nel diverso caso in cui il conflitto di interessi tra medico e casa di cura fosse stato sorretto da fatti comprovati? Si pensi all’ipotesi in cui la richiesta risarcitoria venga prima rivolta alla struttura sanitaria e successivamente indirizzata al medico presso la struttura medesima. A riguardo varrà ricordare che l’art. 13 della Legge Gelli ha introdotto per le strutture sanitarie, sia pubbliche sia private, nonché per gli eventuali assicuratori delle stesse, l’obbligo di comunicare agli esercenti la professione l’instaurazione del giudizio promosso dal danneggiato oppure l’avvio di trattative stragiudiziali con lo stesso. Che la disciplina in tema di rivalsa e di responsabilità amministrativa sia strettamente collegata con il menzionato obbligo di comunicazione è rilievo comune alla dottrina e alla giurisprudenza.
Questo stretto collegamento non è forse idoneo ad integrare il conflitto di interessi a cui si accennava sopra?